I centri di espulsione in Albania: Un’analisi critica della nuova politica migratoria italiana

I centri di espulsione in Albania: Un’analisi critica della nuova politica migratoria italiana

L’accordo tra Italia e Albania sui centri per migranti, firmato nell’autunno 2023 dalla premier Giorgia Meloni e dal primo ministro albanese Edi Rama, ha visto la sua concreta attuazione nei primi mesi del 2025. Questo protocollo, considerato un progetto pilota nella gestione extraterritoriale dei flussi migratori, ha sollevato numerose criticità sul piano giuridico, umanitario ed economico. Esaminiamo in dettaglio la situazione attuale e le problematiche emerse.

Il modello Albania e la sua implementazione

Il protocollo Italia-Albania prevede la creazione di due strutture nel territorio albanese:

  • Un centro di prima accoglienza a Shengjin, sulla costa adriatica
  • Un Centro di Permanenza per i Rimpatri (CPR) a Gjader, nell’entroterra

Questi centri, finanziati interamente dall’Italia ma situati in territorio albanese, sono destinati ai migranti soccorsi in acque internazionali dalle autorità italiane, con l’esclusione di minori, donne in gravidanza e persone vulnerabili. All’interno di queste strutture si svolgono le procedure accelerate per la richiesta di asilo e, in caso di esito negativo, l’organizzazione del rimpatrio nel paese d’origine.

Le principali criticità riscontrate

Opacità nelle procedure di selezione e trasferimento

I primi trasferimenti di migranti nei centri albanesi sono avvenuti in un clima di scarsa trasparenza. Non sono state rese pubbliche le liste delle persone trasferite né i criteri precisi di selezione. Questo approccio ha sollevato dubbi sulla legalità e sulla correttezza delle procedure adottate. Particolarmente preoccupante è la mancanza di informazioni riguardo alla nazionalità dei migranti trasferiti e al loro percorso precedente, elementi che alimentano la percezione di arbitrarietà nelle decisioni.

Barriere all’accesso alla tutela legale

La collocazione geografica dei centri in Albania crea ostacoli significativi all’accesso alla difesa legale. I migranti trasferiti si trovano in una condizione di isolamento che complica notevolmente la possibilità di consultare avvocati e ottenere un’adeguata rappresentanza legale. I collegamenti da remoto previsti per le udienze e le consultazioni legali si sono rivelati insufficienti per garantire una tutela effettiva dei diritti. Questo solleva serie preoccupazioni sul rispetto del diritto alla difesa, principio fondamentale in uno stato di diritto.

Condizioni di detenzione problematiche

Le testimonianze e i rapporti delle organizzazioni per i diritti umani descrivono condizioni di detenzione nei centri albanesi che suscitano preoccupazione. Le persone trattenute, che ricordiamo essere in stato di detenzione amministrativa e non penale, sono sottoposte a un regime di isolamento particolarmente severo. L’uso delle manette durante i trasferimenti e altre misure restrittive sembrano eccessive considerando la natura amministrativa del loro trattenimento. L’isolamento geografico e la limitata comunicazione con l’esterno aumentano ulteriormente i rischi di trattamenti inadeguati.

Contestazioni di legittimità giuridica

Numerosi esperti di diritto e associazioni hanno sollevato dubbi sulla compatibilità del modello Albania con il quadro normativo italiano ed europeo. In particolare, l’esternalizzazione delle procedure di asilo solleva questioni riguardo alla giurisdizione applicabile e alla responsabilità delle autorità italiane in territorio estero. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea non ha ancora emesso una sentenza definitiva sulla compatibilità di queste pratiche con il concetto di “paesi sicuri” e con le garanzie previste dal diritto comunitario.

I tribunali italiani hanno già mostrato resistenza nell’avallare procedure simili. I Tribunali di Palermo e Catania hanno in precedenza rifiutato di convalidare i trattenimenti nei CPR sulla base delle nuove procedure accelerate di frontiera. Esiste quindi il concreto rischio che anche il Tribunale di Roma, competente per i centri in Albania, possa non convalidare i trattenimenti, portando al fallimento dell’intero modello.

Inefficienza economica e risultati limitati

I costi dell’operazione Albania sono considerevoli. Oltre alle spese di costruzione e gestione delle strutture, si aggiungono i costi di trasferimento dei migranti. In alcuni casi paradossali, intere navi sono state utilizzate per riportare in Italia singoli migranti il cui trattenimento non è stato convalidato, evidenziando una preoccupante inefficienza del sistema.

Va sottolineato che i CPR già esistenti in Italia sono spesso sottoutilizzati, il che rende ancora più discutibile l’investimento in nuove strutture all’estero. Il problema principale delle politiche di rimpatrio resta la mancanza di accordi efficaci con i paesi d’origine e le lunghe procedure burocratiche, questioni che i centri in Albania non contribuiscono a risolvere.

Critiche dalle organizzazioni per i diritti umani

Le principali organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International e numerose associazioni italiane come ASGI e il Tavolo Asilo e Immigrazione, hanno duramente criticato l’accordo Italia-Albania. Queste organizzazioni definiscono i trasferimenti come un tentativo illegale e costoso di esternalizzare le responsabilità dell’Italia in materia di accoglienza e protezione internazionale. Il Tavolo Asilo ha parlato esplicitamente di “insopportabile esibizione di crudeltà” e di operazione principalmente propagandistica che calpesta i diritti fondamentali delle persone coinvolte.

La dimensione europea e il rischio di emulazione

Il modello Albania sembra inserirsi in una tendenza più ampia a livello europeo di esternalizzazione delle politiche migratorie. Il recente Patto europeo su migrazione e asilo, pur non prevedendo esplicitamente l’esternalizzazione delle procedure, non la esclude completamente. Altri paesi europei osservano con interesse l’esperimento italiano, valutando la possibilità di replicarlo.

Questo solleva preoccupazioni su un possibile effetto domino che potrebbe portare a una progressiva erosione del sistema europeo di asilo, con il rischio di creare una zona grigia giuridica in cui i diritti dei richiedenti asilo sarebbero significativamente compromessi.

Prospettive future e possibili evoluzioni

Il futuro del protocollo Italia-Albania rimane incerto. Da un lato, il governo italiano sembra determinato a proseguire sulla strada intrapresa, presentando il modello come un esempio innovativo di gestione dei flussi migratori. Dall’altro, le criticità giuridiche e pratiche potrebbero determinarne il fallimento operativo.

Le prossime decisioni dei tribunali italiani saranno cruciali. Se continueranno a non convalidare i trattenimenti, l’intero sistema potrebbe collassare, costringendo il governo a rivedere la propria strategia. Allo stesso tempo, eventuali pronunciamenti della Corte di Giustizia dell’UE potrebbero definire più chiaramente i limiti legali dell’esternalizzazione delle procedure di asilo.

Conclusioni

Il modello Albania rappresenta un tentativo controverso di ridefinire le politiche migratorie italiane ed europee. Le criticità evidenziate – dalla mancanza di trasparenza alle condizioni di detenzione, dai dubbi di legittimità all’inefficienza economica – sollevano interrogativi fondamentali non solo sulla sua efficacia pratica, ma anche sulla sua compatibilità con i principi fondamentali del diritto e dei diritti umani.

In un momento storico in cui le politiche migratorie sono al centro del dibattito pubblico, è essenziale che qualsiasi innovazione in questo campo rispetti i diritti fondamentali delle persone coinvolte e si inserisca coerentemente nel quadro giuridico nazionale ed europeo. Il caso dei centri in Albania ci ricorda che la gestione dei flussi migratori non può prescindere dal rispetto della dignità umana e dei principi dello stato di diritto, valori fondanti della nostra democrazia.

 

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